LA VITA DI UN CAMERAMAN - IL TERREMOTO DELL'AQUILA (2009)

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Voglio condividere con voi un racconto di una storia vera che ho vissuto su la mia pelle, per anni ho lavorato come cameraman per le maggiori televisioni italiane, ho visto luoghi e cose che veramente ben pochi hanno avuto la "fortuna" di osservare.
Ho rischiato la vita decine di volte ed ho imparato quanti mondi uno dentro l'altro esistano su questo pianeta, quello che segue è il primo capitolo di un libro che avrei voluto scrivere da tempo, la mia inizizione a quel mondo assurdo.

Tutti i fatti sono totalmente reali, non ho esagerato o inventato nulla di quello che leggerete, alla fine del racconto potrete vedere alcune foto che ho scattato ad Onna scattate sgattaiolando in barba alle forze dell'ordine, un paese vicino l'Aquila completamente estinto dal primo sisma.

Buona Lettura

Sono le quattro di mattina e sto dormendo;
Sono le quattro e zero cinque e sto in piedi nella mia stanza mentre tutto quello che mi circonda si muove;
Sono le quattro e mezza mi squilla il cellulare, una voce dall’altro capo del telefono mi dice secco “vestiti tra un’ora partiamo per L’Aquila, è successo un casino”, così inizia la mia avventura nel mondo della televisione.

Mi chiamo Daniele Pieracciani, come il regista ma con la “A” e di mestiere faccio il cameraman, un lavoro inusuale per la maggior parte delle persone, un lavoro che ti scegli e non trovi casualmente, qualcosa che persegui per passione.
Quando cominci a lavorare per un service che collabora per la televisione la tua prima mansione è quasi sempre “il fonico”, un pulcino spaurito qualsiasi, un pezzettino di persona per gli altri, quasi trascurabile.

Nel mio caso poteva esserci chiunque al mio posto ma toccò a me quella volta e da li tutto cambiò in...meglio?

Prima delle sei di mattina eravamo già in viaggio, ricordo perfettamente il mio senso di spaesatezza, catapultato in un mondo del quale ignoravo l’esistenza fino a poco tempo prima, tutti ne ignorano l’esistenza in realtà.
Un po’ come quando guidi la macchina e ti ritrovi a casa senza sapere come, questo mondo esisteva scorrendo in parallelo alla realtà comune, lontano dagli occhi delle masse ma allo stesso tempo matrice dell’attenzione collettiva della società.
Erano le 7 del mattino e ci trovavamo già sull’autostrada verso l’epicentro di quel tremendo terremoto, alla guida un ragazzo come me, anche più piccolo di me ma con più esperienza sul campo, di me ed accanto a lui un giornalista di una delle reti più famose del nostro paese.
Ricordo la loro tranquillità, sembrava si stesse partendo per una vacanza quasi, il ragazzo alla guida gonfio di sonno e silente ed il giornalista costantemente al telefono con amici o colleghi, ai quali raccontava con leggerezza cosa stesse andando a fare.
Questo mi tranquillizzava ad essere sincero, sembrava routine, una giornata come le altre per loro, non avevo minimamente idea che la mia vita da li a qualche ora sarebbe stata catapultata dentro la realtà.

Le persone credono di sapere cosa sia la realtà, giudicano quel che osservano e reagiscono di conseguenza, quasi mai si pongono domande su quel che vedono in televisione, lo registrano classificano e giudicano ma oltre non vanno mai.
Non ero mai stato all’Aquila, l’Abruzzo in generale mi era abbastanza sconosciuto, quando arrivammo nei pressi dello svincolo autostradale della città c’era già qualcosa di strano, la prima uscita era crollata.
Riuscimmo dopo vari tentativi, se non erro il terzo a scendere dall’autostrada e ci avviammo verso il centro della città, ricordo il caos…
C’erano ancora pochissimi soccorsi, eravamo arrivati poco dopo i primi mezzi della protezione civile, le stesse forze dell’ordine ancora erano quasi assenti e complice di questo riuscimmo ad arrivare indisturbati fin nei pressi del centro storico, dove l’inaspettato caos, completo, disarmante e distruttivo ci si propose davanti all’improvviso.
Una delle immagini che non potrò mai dimenticare fu anche la prima che vidi, nei pressi della famosa casa dello studente sembrava di trovarsi a Gaza, una zona di guerra senza controllo.
Le urla delle persone arrivavano da ogni direzione ed in mezzo alla strada una signora, con la vestaglia rosa ed una sola ciabatta camminava lentamente con lo sguardo perso nel vuoto.
Non potrò mai dimenticare quegli occhi, lo sguardo di chi ha perso tutto e non riesce ancora ad elaborare nulla, sembra di essere dentro un film.
Dopo non troppo tempo fecero caso alla nostra troupe e ci fecero allontanare dall’epicentro e tramite comunicazioni dalla sede centrale ci venne detto di recarci al campo base dei soccorsi e delle televisioni, Onna.
Questa frazione della città non esisteva più, un cumulo di macerie sorgeva al posto di questa specie di paesino, case di uno o due piani accartocciate su se stesse o schiacciate come i cartoni del latte vuoto, veramente raccapricciante.
Raggiungemmo la nostra postazione ed il giornalista si mise subito al lavoro, facendo domande alle forze dell’ordine mentre riceveva e faceva decine di chiamate con colleghi o con la redazione, in effetti un po’ tutti li erano occupati in modo analogo.
Dopo qualche decina di minuti, complice la distrazione di tutti ed il non avere compiti da svolgere mi allontanai di nascosto e mi addentrai in quel che rimaneva di quelle case.
Ricordo l’inadeguatezza delle mie reazioni di fronte ad un tale sfacelo, tutto completamente raso al suolo, sembrava essere esplosa una bomba credetemi.
Tirai fuori la mia persona macchina fotografica e cominciai a scattare qualche foto, finchè qualcosa attirò la mia attenzione e mi fece tornare alla realtà che ancora non riuscivo pienamente a comprendere.

Una casa a due piani era ormai ridotta ad un piano solo e la cosa più tremenda era che dal mio lato della strada potevo vedere dentro quel secondo piano inesistente, e scorsi un letto, sul quale il tetto era crollato come una pressa e su questo un rivolo di sangue scorreva lungo il materasso fino a terra.
Mentre quasi ipnotizzato guardavo quel sangue rappreso, cercando di convincere la mia mente che per la prima volta fosse reale e non un film, dei poliziotti si accorsero della mia presenza ed anche fin troppo gentilmente mi ricondussero alla postazione della mia troupe.
Se ripenso a quella giornata, ma forse proprio a quel periodo che durò circa una settimana quasi mi sembra di ricordare un sogno, troppo surreale, senza filtri, senza nessun avviso come nei film, mi fece sentire come un drogato, assuefatto alla realtà che mi veniva proposta ogni giorno dalla televisione e dal costrutto sociale, non ero io ad aver deciso cosa pensare del mondo intorno a me, mi era stato dato un punto di vista ed io l’avevo preso per buono senza remore.
Ci ho messo mesi ad uscire da quella realtà, non so voi ma personalmente abitando a Roma il VERO terremoto non l’avevo mai provato in vita mia e li era una costante, quasi senza tregua la terra sotto di noi tremava, ribolliva, esplodeva, quei fortissimi rumori sotto di me mi davano sempre l’immagine di due mastodontici mostri presi da un combattimento nel quale noi esseri umani eravamo solo piccole formiche in balia delle conseguenze.

Per mesi, ogni camion che prendeva una buca mi metteva in allarme, pronto a scappare, a salvarmi la vita, come quando la seconda sera crollò l’hotel nel quale dormivamo.
Sicuramente fu una leggerezza della redazione e del nostro service a portarci in quell’hotel, troppo vicino all’epicentro, esattamente al centro di Campo Felice, nota località sciistica dell’abruzzo.
Ricordo che quando arrivammo stremati davanti l’hotel notai subito una cosa che sul momento non compresi, i dipendenti di questo hotel erano per la maggior parte alloggiati nelle loro automobili, davanti la costruzione.
Da prima lasciai correre, era talmente tutto nel caos da non riuscire a classificare nel giusto modo ogni immagine di quel contesto, ed infatti entrammo senza remore e da subito si potevano notare crepe correre lungo molte delle pareti del posto, ma essendoci anche una squadra della protezione civile “accampata” dentro un senso di sicurezza andò a coprire qualsiasi nostro dubbio.
Le scosse erano costanti, certe volte senza nemmeno pause, ed erano anche diverse tra loro, certe duravano anche solo un paio di secondi ma spaventosamente potenti ed altre invece lunghe costanti e vibranti, la prima sera a cena nella sala del ristorante dell’hotel ci fu per esempio una scossa che durò non più di due secondi, ma che spostò varie colonne del salone di diversi centimetri.
Ricordo che stavo mangiando un piatto di pasta e cominciavo quasi ad abituarmi a quei rumori, quando quelle colonne si spostarono come fossero di cartone, in un istante, solo io lo vidi e non da subito volli credere di averlo visto sul serio.
Fu la seconda notte quella che rese tutti coscienti della situazione li dentro, eravamo andati nelle nostre rispettive stanze e mi ero messo a letto a guardare la televisione quando un lento costante e vibrante terremoto cominciò sotto di me, intorno a me, dentro di me.
Balzai giù dal letto in piedi, pensai “è diverso, non si ferma” e poi “ok mi vesto” e poi ancora “ok esco dalla stanza” e tra il pensarlo ed il farlo passarono secondi interminabili, forse anche troppi ma d’altronde nessuno è pronto a qualcosa che non conosce.
Aprii la porta della mia stanza e casualmente lungo il corridoio si aprì anche la stanza del mio collega e del giornalista, ci guardammo per qualche istante e poi all’unisono concordammo su una cosa “scappiamo”.
La scossa non finiva, ormai erano passati almeno 3 minuti, avevo preso il possibile come i miei colleghi e precipitandoci per le scale incrociammo la protezione civile, presa a sfollare gli altri residenti dell’hotel, tutti erano nel panico, anche loro erano palesemente pieni di terrore e quelle crepe viste il giorno prima erano ovunque e si muovevano, ci seguivano si incrociavano e tramutavano in buchi, enormi solchi che facevano cadere pezzi di soffitto addosso a chiunque.
Riuscimmo ad uscire e ci precipitammo alla macchina per allontanarci il più possibile, ma una una volta saliti l’inaspettato, qualcosa che non puoi sapere finchè non ti capita, quel tremendo vibrare avevo danneggiato il motore della macchina, non potevamo scappare.
Scendemmo dall’auto e cominciammo a correre, ci allontanammo il più possibile dalla struttura che intanto veniva giù come un castello di carte, sembrava così fragile e delicata per come crollava eppure non lo era per niente.
Rimanemmo tutta la notte su un prato, in mezzo al nulla, al buio, al freddo, in attesa che qualcuno fosse venuto ad aiutarci, ma questo avvenne soltanto diverse ore dopo, quando un nostro collega da roma arrivò con un’altra automobile per riportarci ad Onna.
Quella situazione vissuta mi fece capire quanto siamo tutti uguali di fronte a certi eventi, cataclismi immensi dei quali possiamo solo essere spettatori o vittime, nemmeno chi addestrato a quelle situazioni era realmente in grado di gestirle, siamo tutti uguali.

Nei giorni successivi ci allontanammo di almeno 70 Km da quell’hotel, per essere sicuri, dopo quell’esperienza l’ultimo pensiero era rischiare ancora la vita.
Nei giorni successivi girammo molte località dell’Abruzzo, dovevamo descrivere a 360 gradi quel che era successo, e questo ci portò a contatto con moltissime persone, vite come la mia ma di altri, esseri umani che nel momento della tragedia cercavamo solo di aiutarsi tra loro, primo fra tutti il cibo.
Gli abruzzesi sono un popolo molto ospitale e caldo, più di una volta ci trovammo davanti porte aperte e camini accesi con cacciagione donataci gratuitamente, ricordo un paese di nome Scoppito dove una coppia di anziani ci accolse dentro la loro casa per cena.
Eravamo da ore alla ricerca di qualcosa da mangiare, in quelle situazioni purtroppo è molto difficile trovare qualcosa di aperto dove prendere del cibo, se non fosse stato per quei vecchietti gentili probabilmente saremmo rimasti a digiuno, ci offrirono la loro carne che il marito aveva cacciato, il loro fuoco e la loro genziana, un liquore tipico di quelle parti e forse anche per tutta quella situazione ma divenne uno dei miei liquori preferiti.
Non posso descrivere totalmente quello che provai, nessuno potrebbe, ma sta di certo che io come gli altri miei colleghi eravamo li senza che nessuno lo sapesse, eravamo invisibili ma allo stesso tempo parte di quel disastro.
Voi tutti avete avuto modo di vedere tutte quelle immagini, tutti quei video ed ognuno di questi aveva come matrice persone come le altre, con una passione nel sangue, una passione che li non contava nulla perché dentro a certe situazioni sei solo un uomo, un essere umano con le sue debolezze ed incertezze che scopre di avere paura come gli altri, mentre per alcuni sei solo carne da macello, fanteria, qualcosa di sacrificabile mandato allo sbaraglio pur di raggiungere il tanto amato scoop.
La televisione signore e signori è un mondo complesso, brutale che non guarda in faccia nessuno, specialmente dei poveracci con una passione, e sta li la nostra debolezza, noi tutti tecnici di questo mondo lo facevamo per passione, perché percepire 40 euro netti al giorno per 10 ore di lavoro vuol dire che lo stai facendo gratis, ma per il mondo noi siamo la tv, qualcosa di simile al cinema ma più vicina alla realtà di tutti i giorni, qualcosa che puoi quasi toccare tramite i telegiornali, senza però sporcarti mai la coscienza a pensare che dietro quelle riprese c’è l’uomo dei sogni infranti, schiavo di un salario da bestia come qualsiasi pendolare.
Ormai ne sono fuori da quell’assurdo mondo, ma quasi nessuno una volta dentro lo abbandona, sembra quasi la leggenda di Medusa, attratti dalla sua bellezza ma che ti tramuta in pietra per sempre una volta osservata da vicino.

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